Ci possiamo fidare dei tamponi? (prima parte)

Ci possiamo fidare dei tamponi? (prima parte)

Come funzionano i tamponi?

La circolare del Ministero della Salute del 29/09/2020 effettua la seguente classificazione:

  • Test molecolare: è il test attualmente più affidabile per la diagnosi di infezione da coronavirus [vedremo in seguito se è davvero così, ndA]. Viene eseguito su un campione prelevato con un tampone a livello naso/oro-faringeo, e quindi analizzato attraverso metodi molecolari di real-time RT-PCR (Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction) per l’amplificazione dei geni virali maggiormente espressi durante l’infezione. L’analisi può essere effettuata solo in laboratori altamente specializzati, individuati dalle autorità sanitarie, e richiede in media dalle 2 alle 6 ore dal momento in cui il campione viene avviato alla processazione in laboratorio;
  • Test antigenico (rapido): questa tipologia di test è basata sulla ricerca, nei campioni respiratori, di proteine virali (antigeni). Le modalità di raccolta del campione sono del tutto analoghe a quelle dei test molecolari (tampone naso-faringeo), i tempi di risposta sono molto brevi (circa 15 minuti), ma la sensibilità e specificità di questo test sembrano essere inferiori a quelle del test molecolare. Ciò comporta la possibilità di risultati falso-negativi in presenza di bassa carica virale (tC>25), oltre alla necessità di confermare i risultati positivi mediante un tampone molecolare.

In sostanza: il test antigenico dovrebbe contenere anticorpi per il COVID-19, che a contatto con l’eventuale antigene del SARS-COV2 dovrebbe consentire di diagnosticare la positività al virus; il test molecolare PCR dovrebbe invece andare a moltiplicare le tracce genetiche associate al virus, per poi essere in grado di rilevarle e diagnosticare la positività al virus.

Il miracolo della moltiplicazione dei virus e delle molecole: la PCR

La tecnica della reazione a catena della polimerasi (Polymerase Chain Reaction o PCR) è stata sviluppata da Kary Mullis sulla base di un processo già descritto da Kjell Kleppe e Har Gobind Khorana, premio Nobel nel 1968. Lo stesso Mullis, per aver sviluppato questa tecnica, ha ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 1993.

La tecnica della PCR consente l’amplificazione in vitro di frammenti di DNA o RNA. I miglioramenti apportati da Mullis hanno reso la PCR una tecnica fondamentale in biochimica e in biologia molecolare, con varie applicazioni in campo medico, agricolo, e investigativo. Tale tecnica ha consentito lo svolgimento di esperimenti di laboratorio più rapidi e a costi ridotti.

È giusto sottolineare che Kary Mullis è sempre stata una mente non allineata al pensiero ufficiale, sia nelle sue abitudini (attribuisce all’uso di LSD i suoi progressi apportati alla PCR), sia nelle sue convinzioni (sosteneva che l’HIV non fosse la causa dell’AIDS).

Una sua frase rivolta ai colleghi scienziati è molto emblematica:

“Gli scienziati stanno danneggiando moltissimo il mondo con la pretesa di aiutarlo. Non ho problemi ad attaccare la mia stessa fratellanza, perché provo vergogna nei loro confronti.”

Questo però non deve essere un criterio per screditarlo. Basti ricordare come anche Galileo e Einstein non fossero esattamente individui allineati al pensiero dominante. La scienza non è dogma, la scienza è confronto e sperimentazione.

Va inoltre ribadito che il profilo scientifico di Kary Mullis è di primissimo ordine, e che perfino i suoi detrattori riconoscono gli enormi benefici apportati dai suoi studi che hanno perfezionato la PCR.

Cosa ne pensava della sua tecnica?

In breve:

“La PCR quantitativa è un’ossimoro”.

Per approfondire questo concetto, è interessante trascrivere e tradurre questa sua intervista pubblica, che, seppur incentrata sull’HIV, parla più in generale della PCR e di cosa è in grado di fare, oltre che di come la sua interpretazione possa condurre a dare peso a cose che non dovrebbero avere alcun peso.

“Penso che uso improprio della PCR non sia esattamente… non credo che si possa fare uso improprio della PCR. [Si può fare uso improprio de]I risultati, [del]l’interpretazione della PCR. Se riesci a trovare un virus, e con la PCR, se la utilizzi bene, puoi trovare praticamente tutto in chiunque, comincia a farti credere in quella sorta di principio buddhista secondo cui tutto è contenuto in tutto il resto. Perché se puoi amplificare una singola molecola fino a una quantità che sei in grado di misurare, cosa che la PCR può fare, allora ci sono davvero pochissime molecole di cui non hai almeno un esemplare nel tuo corpo, ok? Quindi questo può essere considerato un uso improprio della PCR: pretendere che sia significativo. Ma il vero uso improprio è che non c’è bisogno di un test per l’HIV, non c’è bisogno di un test per le altre decine di migliaia di altri retrovirus senza nome pure presenti nel soggetto. Perché se una persona ha l’HIV, generalmente avrà praticamente qualsiasi cosa che sei in grado di testare, perché hanno sicuramente… l’HIV è un virus piuttosto raro. Ci sono soltanto 1 milione di persone su 350 milioni di persone negli USA con quel virus. Quindi devi capire che o ce l’aveva tua madre e te l’ha passato, oppure devi prestare molta attenzione alle persone che ce l’hanno e solo a loro, perché c’è una notevole probabilità di prenderlo in quel modo. È difficile da prendere, ma se ce l’hai, è probabile che tu abbia anche un sacco di altri [virus], perché sei stato nel “mercato” per, hai avuto la possibilità di prenderli. Testare per la presenza di quello [cioè dell’HIV] e dire che abbia un significato speciale è il problema, secondo me, non il fatto che la PCR sia stata usata in modo improprio.

[…]Ti dice qualcosa della natura e di cosa è presente, ma ti permette di prendere una quantità davvero minuscola di qualsiasi cosa e renderla misurabile e poi parlarne nei meeting etc. come se fosse importante. Perciò non è un uso improprio, è una sorta di cattiva interpretazione.

[…]La misurazione per queste cose non è per niente precisa, non è ottimale come la misurazione per qualcosa come le mele. Una mela è una mela. Sai, puoi prendere qualcosa che è più o meno… se prendi una quantità sufficiente di cose che assomigliano a una mela e le metti tutte insieme puoi considerarla una mela ma, e l’HIV è così, quei test sono basati tutti su cose invisibili e i risultati sono dedotti in un certo senso. La PCR è separata da questo, è solo un processo usato per produrre un sacco di cose da qualcosa. Non ti dice se sei malato e non ti dice se la cosa che hai trovato avrebbe potuto farti del male o qualcosa del genere.”

Cosa si può dedurre da questa intervista? Almeno due fatti fondamentali:

  1. La tecnica della PCR consente di trovare praticamente qualsiasi cosa in qualsiasi cosa. Più si amplifica il campione estratto, più è probabile rilevare qualunque tipo di molecola, virus inclusi.
  2. La PCR non ha valore quantitativo, ma solo qualitativo. Non è dunque in grado di determinare la carica virale, ma solo se una certa molecola è presente o meno.

Se lo dice l’inventore, o se vogliamo il perfezionatore della tecnica, direi che ci possiamo fidare.


Aperta parentesi: guarda caso, persino il pioniere (possiamo dire l’inventore) della tecnica dei sieri genici a mRNA, Robert Malone, è tra i primi a porre dei forti dubbi sulle possibili reazioni avverse gravi dovute all’inoculazione di tali sieri (almeno nella loro formulazione attuale).

Per prevenire eventuali critiche dai lettori del noto sito racconta-bufale, bufale.net, che sostiene che Robert Malone sia sostanzialmente un millantatore e che non abbia inventato la tecnica dei sieri genici a mRNA, credo sia sufficiente fare riferimento a questo articolo pubblicato su Nature, che fa subito seguire al titolo “The tangled history of mRNA vaccines” (la storia intricata dei vaccini a mRNA) questa frase di apertura:

In late 1987, Robert Malone performed a landmark experiment. He mixed strands of messenger RNA with droplets of fat, to create a kind of molecular stew. Human cells bathed in this genetic gumbo absorbed the mRNA, and began producing proteins from it.

Traduzione: “Nell’ultima metà del 1987, Robert Malone ha effettuato un esperimento epocale. Ha mischiato filamenti di RNA messaggero con droplets di grasso, per creare una sorta di stufato molecolare. Le cellule umane a bagno in questa zuppa genetica hanno assorbito l’mRNA, iniziando a usarlo per produrre proteine.”

Chissà, magari avremo modo di approfondire le posizioni di Robert Malone in un articolo ad hoc. Chiusa parentesi.


Attendibilità dei tamponi rapidi

Come abbiamo spiegato in precedenza, non tutti i tamponi fanno uso della PCR. Quelli rapidi, per esempio, usano una tecnica del tutto diversa.

Parliamoci chiaro: specie dal 15 ottobre 2021 in poi, ma già in parte anche da fine 2020, si è iniziato a fare un uso spropositato dei tamponi rapidi per diagnosticare il COVID-19. Inutile dire che all’aumento dei test è corrisposto un aumento dei cosiddetti “contagi”. Purtroppo questo aumento fittizio, in quanto corrispondente soltanto a un aumento dei test, non a una reale maggior diffusione dei contagi, è stato sbandierato su ogni media per creare panico e “dimostrare” che la situazione si aggravava. Ricordiamo anche che fino a pochi mesi fa, il criterio per stabilire il colore di una regione era proprio il numero dei contagi. Ci si attenderebbe perciò che, viste le conseguenze gravi sul diritto alla circolazione, sull’economia e sulla salute mentale dei cittadini, lo strumento usato per determinare dove essere più o meno stringenti con le restrizioni fosse a prova di bomba. È così? Vediamo.

Già dal 26 aprile 2020 si può trovare in rete questo ottimo articolo in italiano che si basa sullo studio scientifico “Wang W, Xu Y, Gao R, et al (2020) Detection of SARS-CoV-2 in Different Types of Clinical Specimens. JAMA“.

In soldoni, viene preso un campione di malati che presentano tutti i sintomi del COVID-19, e che vengono quindi considerati tutti positivi al COVID-19, e si applicano tamponi rapidi per prelevare e analizzare diverse sostanze corporee. Ecco i risultati:

La cosa che salta subito all’occhio è che due dei tipi di tamponi più diffusi, cioè il faringeo e il nasale, presentano rispettivamente un’attendibilità del 32% e del 63%. A uno sguardo superficiale, a digiuno di matematica, qualcuno potrebbe dire: beh, ma il 32% è sempre meglio dello 0%! Sbagliato! In questi casi il confronto da fare è sempre con la casualità pura, vale a dire un lancio di monetina. Nel 50% dei casi, lanciando una monetina, si è in grado di stabilire correttamente la positività o meno di un paziente al COVID-19. Per cui una attendibilità del 32% significa che c’è più probabilità di individuare correttamente il COVID-19 lanciando una monetina, che usando un tampone faringeo. Il tampone nasale ottiene un risultato leggermente migliore, ma confrontandolo col 50%, risulta solo marginalmente più attendibile.

Il problema dei falsi negativi ovviamente pone questioni gravi di salute pubblica: se non rilevi correttamente che sei positivo, neanche in caso di sintomi conclamati, sei un pericolo per la salute pubblica. Ti senti rassicurato dall’esito del tampone, e scorrazzi liberamente a infettare in giro (anche se ci si attenderebbe che in presenza di sintomi, qualunque cittadino coscienzioso se ne stia a casa comunque, che si tratti di influenza o di COVID-19 poco importa).

Ma questa è solo una faccia della medaglia. Perché sì, i tamponi rapidi riescono nel difficile risultato di essere fonti sia di falsi positivi che di falsi negativi.

Ma dei falsi positivi, e soprattutto dell’attendibilità dei tamponi molecolari, parleremo più approfonditamente nella seconda parte di questa disamina sui tamponi e sulla PCR. A breve sarà disponibile anche la seconda parte.

Senza entrare per ora nel dettaglio, per chi volesse già approfondire per conto proprio, rimando ad alcuni emblematici articoli di giornale degli ultimi mesi:

Gabriele Nannetti