è il racconto che ha ricevuto una menzione speciale al concorso Libertà 2° edizione 2024.
Facciamo i complimenti all’autore, Francesco Ceravolo, che ha ricevuto la menzione speciale sulla base delle seguenti motivazioni:
Fiaba con una buona morale e un forte intento di critica sociale, molto apprezzabile nei temi e nella costruzione allegorica. Lo stile è per lo più scorrevole, efficace nella sua semplicità e la struttura narrativa ben congegnata nella parte iniziale e centrale. Purtroppo l’esecuzione risente, specie nella parte della risoluzione, di un debito di spazio a disposizione, e appare sbrigativa, quasi tronca. Sarebbe stato opportuno magari un confronto preventivo con qualche sfida o personaggio, prima della rottura dello specchio. Anche la stessa narrazione legata alla storia degli specchi avrebbe beneficiato di più dettagli per arricchire il contesto.
Trovate il video della premiazione a questo indirizzo.
Qui potete invece consultare il bando del concorso.
Due Regni
C’era una volta un grande e rigoglioso regno: il Regno Bianco.
Attraversato da un piccolo torrente, piante e animali crescevano in abbondanza: sembrava sempre primavera. Nel maestoso castello, in cima alla collina, viveva il Re, amato da tutto il popolo, al quale forniva sicurezza e prosperità. Il Regno Bianco era il luogo incantato dove tutti volevano vivere.
Nel villaggio viveva Niccolò, un bambino curioso e sognatore: non aveva molti amici oltre ai libri e alla sua grande fantasia. Gli altri bambini non giocavano all’aperto: lui invece si divertiva a correre tra i campi, su e giù dalle colline. Per questo lo consideravano un po’ strano, ma per sua mamma era semplicemente speciale.
«Ciao mamma, vado a fare un giro» diceva prima di uscire di casa col pallone sotto braccio.
«Va bene tesoro, non fare tardi e tieniti lontano dal Muro» si raccomandava la mamma.
Il Muro. Ai confini del Regno Bianco, vi era un lungo groviglio di rovi, talmente fitto e impenetrabile che sembrava un muro. Nessuno aveva il coraggio di attraversarlo. Al di là il Regno Nero, un luogo piovoso e cupo, abitato da gente strana e pericolosa. Nel castello diroccato viveva una triste Regina che aveva portato la propria gente in povertà e disgrazia. Il Regno Nero era il luogo di cui tutti avevano paura.
Niccolò, in quel giorno assolato, calciava forte in aria il suo pallone per correre a riprenderlo. Non si era accorto di essersi allontanato troppo quando, con un tiro, la sua palla finì oltre il Muro: rimase triste a fissare l’intreccio di spine, quando sentì un movimento in mezzo alle sterpaglie. Prima di capire cosa fosse, vide la sua palla arancione volare nel cielo fino a cadere tra le sue braccia.
Tornò a casa con un solo pensiero: doveva scoprire chi gli aveva restituito il pallone.
Il giorno dopo tornò sulla collina vicino al Muro e con un grande calcio mandò la palla di là: si sedette ad aspettare e, poco dopo, eccola nuovamente in aria verso di lui. La tirò ancora e di nuovo la vide tornare. Continuò così tutto il pomeriggio: ogni tiro era sempre più forte e coinvolgente. Sembrava che qualcuno nel Regno Nero volesse divertirsi insieme a lui.
Tornò anche il giorno seguente e quelli dopo ancora.
La sera fantasticava su chi fosse il suo nuovo compagno di giochi.
Ormai era diventata una partita quotidiana. Quando un giorno la palla non tornò. Niccolò rimase ad aspettare, con lo sguardo fisso e triste, ma questa volta non c’era nessuno a lanciargli la palla indietro. Nella sua testa mille pensieri: le leggende su quel luogo pauroso, le raccomandazioni della mamma di starne alla larga; doveva però scoprire cosa fosse successo al suo amico sconosciuto e, soprattutto, chi fosse.
Camminò lentamente lungo il Muro per scovare un passaggio. Lo trovò e si infilò abbassandosi in ginocchio. Una volta di là, si guardò attorno: il cuore gli batteva forte, un po’ per la paura e un po’ per l’emozione. Cercando di non far rumore, si incamminò tra l’erba alta fino a una piccola radura, quando sentì: «Ehi da questa parte, è qui la palla!».
Si voltò di scatto e vide un bambino sorridente che lo fissava. «Scusa se oggi non sono venuto a giocare, ma devo raccogliere le radici. Noi non abbiamo molto da mangiare» continuò il bambino.
In effetti era magro, coi vestiti sporchi e un po’ strappati. Non doveva passarsela bene, pensò.
Aveva però un incredibile e luminoso sorriso. Gli occhi grandi sprigionavano una gioia contagiosa. Così, prese coraggio e gli disse «Io sono Niccolò, e tu?».
«Io sono Tommaso» rispose subito il bambino.
Si fissarono in silenzio come se si conoscessero da sempre. Poi a Niccolò tornò in mente la mamma e quanto sarebbe stata arrabbiata se avesse saputo dov’era. Si affrettò a salutare e tornare verso casa.
«A domani!» gli urlò Tommaso ridacchiando.
La sera a cena Niccolò era pensieroso: non poteva credere a dove era stato. La focaccia era deliziosa, ma non aveva proprio fame. Così la avvolse nel tovagliolo: l’avrebbe portata al suo nuovo amico, che sicuramente ne aveva più bisogno.
Il giorno dopo Niccolò, nel primo pomeriggio, era già in compagnia di Tommaso, oltre il Muro.
«Tieni, è ancora soffice. L’ha fatta la mia mamma, spero ti piaccia» gli disse porgendogli la focaccia.
Tommaso non se lo fece ripetere: si infilò tutta la focaccia in bocca, mugugnando di felicità.
Niccolò rise e continuò «Ho portato anche questo aquilone, magari ci giochiamo insieme».
Così i due iniziarono a rincorrersi facendolo volteggiare nel cielo.
Che strano: Niccolò non ci aveva mai giocato, eppure da quel momento diventò il loro gioco preferito.
Il giorno seguente Niccolò aveva portato alcuni vestiti: voleva prendersi cura del suo nuovo amico.
Tommaso lo portò al villaggio per farlo conoscere ai suoi genitori.
Il villaggio era pieno di capanne di legno: qua e là si alzava il fumo dei bracieri, su cui sobbollivano grossi pentoloni di minestra. Si capiva che in quel posto non c’era tempo per giocare e divertirsi: bisognava darsi da fare, ma quando videro quel bambino pulito e ben vestito, tutti si fermarono increduli. Dopo qualche attimo, alzarono la mano in cenno di saluto; poi ripresero i loro impegni.
I genitori di Tommaso erano davvero gentili: lo ringraziarono calorosamente per tutte le cose che aveva portato, anche se un po’ in imbarazzo sapendo di non poter ricambiare.
Quella notte Niccolò si girava e rigirava nel letto. Non capiva. Era cresciuto nel terrore del Regno Nero e di tutti i suoi abitanti; eppure quelli che aveva conosciuto erano brave persone: molto povere, ma di certo di grande valore.
Anche il giorno seguente Niccolò attraversò il Muro, ma al solito posto non trovò l’amico ad aspettarlo. Ci rimase un po’ male, ma poi pensò che avesse avuto impegni: sapeva bene che nel Regno Nero toccava darsi da fare. Quindi si incamminò verso il villaggio, quando sentì delle urla.
Si avvicinò lentamente e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: un gruppo di soldati si stavano facendo consegnare grossi sacchi tra i pianti della gente. «Quelle sono le nostre provviste, non avremo nulla da mangiare, non potete toglierci tutto!».
«Questo è il prezzo da pagare per aver sfidato il nostro Re. Questo è ciò che accade agli abitanti del Regno Nero!» rispose sprezzante il soldato a cavallo ripartendo al galoppo.
Niccolò conosceva bene quei soldati. Erano amati da tutti e considerati i valorosi protettori del Regno Bianco. — Come potevano derubare persone povere e indifese? Come potevano farlo in nome del Re? —
A questa dolorosa domanda, Niccolò provò un grande senso di vergogna. Senza farsi vedere tornò verso casa.
Quella sera Niccolò raccontò tutto: di come aveva conosciuto Tommaso, degli abitanti del Regno Nero e di quello a cui aveva assistito. «Mamma, babbo, dovete venire anche voi al villaggio, vi prego, è importante».
La mamma, ancora turbata, con una carezza gli asciugò le lacrime e annuì.
Il giorno dopo erano già in viaggio di buon’ora.
Una volta giunti al villaggio tutti si fermarono. L’imbarazzo si interruppe appena Tommaso si precipitò loro incontro, con le braccia aperte. Le due famiglie rimasero a fissarsi ancora un po’, fino a quando Tommaso esclamò: «Noi andiamo a giocare, a dopo!» e corse via con Niccolò e l’aquilone.
I due amichetti li spiavano da lontano, dietro a un albero. Li videro ridere: era tanto che non erano così sereni.
Il resto della giornata trascorse veloce e prima di congedarsi, la mamma di Tommaso volle fare un regalo.
«Ecco, questo è il nostro simbolo» disse porgendo un manico di legno.
«Sembra la cornice di uno specchio…senza specchio. E’ uno specchio rotto? A che serve? Non si vede niente» chiese Niccolò stupito.
La mamma di Tommaso rise: «Proprio così, uno specchio di solo legno: non serve per riflettere, ma per far riflettere».
Di specchi il Regno Bianco era pieno. Ce n’era uno in ogni casa e adulti e bambini ci passavano gran parte della loro giornata: si guardavano e riguardavano, si immaginavano ciò che avrebbero voluto essere, ci vedevano di tutto. Alcuni ne avevano persino uno tascabile che guardavano continuamente.
Mentre tornava verso casa, Niccolò rifletteva: guardava i pochi abitanti del Regno Bianco per strada, tutti assorti nel proprio specchio, nessuno si parlava, come se niente intorno fosse più interessante.
Nel Regno Nero invece tutti si ascoltavano, si abbracciavano, ridevano, vivevano insieme e si aiutavano. Avevano poco e, forse per questo, avevano tanto.
Niccolò alzò gli occhi al cielo attirato dal passaggio di uno stormo di uccelli: si muovevano tutti in perfetta armonia. Si ricordò della spiegazione di suo babbo — I pesci, gli uccelli, tutti gli animali piccoli, vivono in branco per difendersi. Muovendosi insieme disorientano il predatore che in questo modo fatica molto a catturarli. La loro forza è il gruppo —.
Niccolò improvvisamente capì cosa fare.
La mattina dopo, a scuola, incalzò il suo compagno di banco: «Usa questo specchio di legno al posto del tuo, vedrai che ti sentirai meglio». Fu molto dura riuscire a convincerlo, ma alla fine si scambiarono gli specchi.
Una settimana dopo, il suo compagno, con grande entusiasmo lo salutò: «Vieni al parco a giocare? Spero non ti dispiaccia ma ho prestato il tuo specchio a mia cugina. Il mio tienilo pure, non mi serve più».
Niccolò annuì con un sorriso.
Qualche mese dopo il villaggio del Regno Bianco era irriconoscibile: tutti passavano più tempo all’aperto, pieni di entusiasmo, i parchi erano pieni di bambini.
La cosa non passò inosservata: il Re notò che sempre meno persone passavano tempo davanti al loro specchio.
Preoccupato, convocò l’intero popolo e disse che i loro nemici, quelli del Regno Nero, si stavano preparando ad un attacco: per la loro sicurezza, tutti dovevano restare in casa.
I giorni seguenti il villaggio si era nuovamente svuotato: le poche persone che giravano, frettolosamente, erano di nuovo assorte nel proprio specchio; nessuno si salutava più.
Niccolò ne parlò con Tommaso, che propose di chiedere aiuto alla Regina.
Giunti al castello del Regno Nero, Tommaso annunciò: «Regina, questo è il mio amico Niccolò, vi vorrebbe parlare, lui viene dal Regno Bianco».
A quelle parole la Regina si voltò stupita: «Dal Regno Bianco? Allora c’è ancora speranza…».
Niccolò raccontò tutto e fu allora che la Regina spiegò cos’era successo: «Vedete, tanto tempo fa non esistevano il Regno Bianco e il Regno Nero, né re e regine; vivevamo tutti insieme, felici. Un giorno si presentò una vecchia strega. Mio marito, che aiutava sempre tutti, la accolse e le diede da mangiare. La strega per sdebitarsi gli regalò due specchi magici: uno d’oro e uno d’argento. Lo specchio d’oro controllava l’altro, poteva decidere cosa far vedere e chi vi si specchiava. Gli disse che con quelli sarebbe diventato re. Così mise lo specchio d’argento in piazza e in poco tempo le persone litigavano per potersi guardare, non riuscivano a smettere, pagavano somme sempre più alte per il loro turno. Lo implorai di smettere e di buttare quegli specchi, ma nei suoi occhi capivo che qualcosa era cambiato: il suo animo gentile e altruista aveva fatto spazio ad un egoista senza scrupoli. Così decisi di porre fine a tutto rompendo lo specchio d’argento. Speravo che l’incantesimo finisse, ma fu solo peggio. Tutti i presenti si precipitarono a prenderne un pezzo: da quel momento avevano il loro specchio personale. Il suo potere aumentò e lo nominarono re. Tutti quelli che non avevano uno specchio, me compresa, non erano sotto il suo controllo e rappresentavano una minaccia. Così li convinse che eravamo un pericolo e ci confinò oltre il Muro nelle terre povere e disabitate, dove continua a privarci di tutto.».
I due bambini avevano ascoltato in silenzio, quando Tommaso esordì con un’idea: «Allora dobbiamo distruggere lo specchio d’oro!».
Niccolò durante le sue scampagnate aveva scoperto una porticina, nascosta dall’edera, lungo il fossato del castello del Regno Bianco. Da lì giunsero alla torre e con tre grosse pietre ruppero lo specchio d’oro in mille pezzi.
Dopo qualche istante, il Re si stropicciò gli occhi e, come appena sveglio, guardò fisso la Regina. «Che cosa ho fatto?» disse piangendo e rifugiandosi tra le sue braccia.
L’incantesimo era rotto. All’alba seguente gli abitanti del Regno Bianco bruciarono i rovi del Muro e tutti poterono finalmente riabbracciare vecchi amici e parenti.
Il Re si scusò raccontando tutto e stabilí che da allora non sarebbero più serviti né re né regine.
Fu allora che un bambino tra la folla urlò: «E la strega cattiva? Se dovesse tornare?».
«Sicuramente tornerà…» rispose il re preoccupato.
«Ma noi la riconosceremo!» disse la mamma di Niccolò.
«E se dovesse travestirsi?» ribatté un’altra voce.
«Allora scriveremo una fiaba affinché tutti possano capire e sappiano difendersi» disse la mamma di Tommaso.
«La fiaba dei Due Regni?» chiese un altro bambino.
«No!» disse avanzando la regina «La fiaba dei Due Bambini coraggiosi che si spinsero oltre il Muro».