Resoconto udienza su caso Assange del 21 febbraio

Resoconto udienza su caso Assange del 21 febbraio

Premessa

La seguente è una traduzione non ufficiale dei resoconti dell’ udienza del 21 febbraio presente sul sito Assange Court Report.

Clicca qui per leggere il resoconto del 20 febbraio.

La traduzione è fornita come semplice supporto per chi abbia difficoltà con l’inglese e tutti i diritti restano in capo agli autori del suddetto sito.

Si declina ogni responsabilità per gli errori presenti nella fonte e per eventuali errori di traduzione.

Si ringrazia Marianna Marrocco per la gentile concessione della fotografia pubblicata nell’articolo.

Resoconto del 21 febbraio – mattina

Assange non è un giornalista e non ha diritto alla protezione, dicono alla corte gli avvocati degli USA

Il procedimento è ripreso stamattina, con l’ascolto da parte della corte degli atti depositati dall’accusa riguardo alle motivazioni per negare all’editore di WikiLeaks Julian Assange il ricorso in appello all’estradizione. Come durante il primo giorno di udienza, Assange non era in aula.

Clair Dobbin KC del Crown Prosecution Service [ndt: istituzione che fa da pubblico ministero nei procedimenti penali in Inghilterra], in rappresentanza legale per gli USA, ha iniziato dicendo alla corte che Assange non può essere considerato un giornalista, e l’affidavit depositato dagli USA affronta ogni aspetto delle tesi della difesa. “Le accuse saranno anche senza precedenti, ma lo è anche ciò che ha fatto,” ha affermato. Dopo alcuni minuti, la giudice Sharp ha annunciato una pausa del procedimento perché era necessario garantire che le persone nella Corte 3 potessero sentire.

Secondo la Dobbin, le azioni di Assange sono state diverse da quelle di un giornalista, perché ha sollecitato la rivelazione massiccia di documenti segreti, è stato complice del furto di informazioni classificate di Ms. Manning ed è stato anche responsabile per aver pubblicato “indiscriminatamente e consapevolmente” quelle informazioni. WikiLeaks è “un’organizzazione che promuove sé stessa come entità che richiede materiale ottenuto illegalmente,” ha affermato la KC; aggiungendo che le tesi della difesa riguardo all’art. 10, che protegge la libertà di parola, non possono essere considerate valide. Il capo d’accusa sostitutivo posto in essere contro Assange appena prima dell’udienza per l’estradizione nel Court District ha gettato una luce diversa sulla sua condotta, mostrando le sue comunicazioni con gli hacker e sollecitando le rivelazioni da parte delle agenzie per la sicurezza.

Il punto centrale, ha sostenuto, non è solo il contenuto di un caso di cronaca, ma piuttosto il metodo che i giornalisti utilizzano per realizzarlo. Riguarda la “legalità della loro condotta”, ha affermato.

Rispondendo a un’altra tesi proposta ieri dal team di avvocati di Assange, Ms. Dobbin ha proseguito mettendo in dubbio se Chelsea Manning possa essere realmente considerata una “whistleblower”. “L’enorme portata e la natura indiscriminata delle rivelazioni fatte da Ms. Manning” riguardo a dati della difesa nazionale, in violazione dei doveri che aveva in quanto membro del corpo militare USA, lo escluderebbero senza dubbio, ha affermato.

Un elemento che ha attirato l’attenzione del giudice è stato il problema di quali tutele potrebbe ricevere Julian Assange negli USA. Una delle dichiarazioni dei testimoni fornite dal governo USA al District Court ha messo in dubbio se Assange avrebbe diritto alle tutele del Primo Emendamento in caso si trovasse in un’aula di tribunale americana.

In un’interruzione a fine seduta, Mr Justice Johnson ha suggerito che questo fosse ovviamente correlato al divieto di discriminazione incluso nell’Extradiction Act del 2003: “la questione non è che risulterebbe vittima di pregiudizi, è che potrebbe risultare vittima di pregiudizi in base alla sua nazionalità”. Ha poi chiesto se fosse possibile dimostrare che uno straniero abbia diritto a godere degli stessi diritti di un cittadino statunitense. Dobbin non ha potuto identificare alcuna prova pertinente a tale questione.

Il caso continua.

Tocca qui per l’articolo originale in lingua inglese.

Resoconto del 21 febbraio – pomeriggio

Rivelata la mancanza di tutele all’estradizione nell’ultima seduta dell’udienza di Assange

L’udienza che potrebbe rappresentare l’ultima occasione, per l’editore di WikiLeaks Julian Assange, di opporsi alla sua estradizione negli Stati Uniti, si è chiusa mercoledì [ndt: 21 febbraio] senza l’annuncio di una data per la decisione del giudice.

Durante la seduta pomeridiana, la mancanza di tutele cui Assange andrebbe incontro in caso di estradizione è divenuto il soggetto di una serie di domande esplorative da parte di uno dei giudici che prenderanno la decisione. Un avvocato in rappresentanza del Secretary of State for the Home Department (SSHD) [ndt: Segretario di Stato per il Ministero degli Interni del Regno Unito] ha detto alla corte che quest’ultimo [il Ministero] “ha limitati poteri nel prevenire l’estradizione in questo caso”. Secondo l’avvocato, prendere in considerazione qualunque diritto presente nell’accordo [sull’estradizione tra Regno Unito e Stati Uniti], come ad esempio l’eccezione dovuta al reato politico, non è a discrezione del SSHD se tale diritto non è integrato in modo esplicito nella legislazione britannica.

Sulla questione delle potenziali modifiche alle accuse cui potrebbe andare incontro Assange una volta estradato – elemento che generalmente è vietato nei casi di estradizione – Mr Justice Johnson ha chiesto al rappresentante del Secretary of State se ci fosse qualche tutela per impedire che ciò possa accadere. L’avvocato ha confermato che non ce ne sono.

Continuando con le domande, Mr Justice Johnson ha chiesto se il rappresentante del SSHD accettasse che l’aggiunta di alcune accuse in futuro potesse risultare nella pena di morte. L’avvocato ha detto che, in linea di principio, accettava questo rischio. Mr Justice Johnson ha dunque chiesto chiarimenti sulla possibilità o meno di impedire la pena di morte.

“Sarebbe molto difficile offrire garanzie che impediscano la pena di morte dall’essere comminata,” ha detto l’avvocato. Tuttavia, “ciò non significa che la Secretary of State fosse in torto” quando ha autorizzato l’estradizione.

In seguito, Mark Summers KC, in rappresentanza legale per Julian Assange, ha dato la sua personale risposta sulla questione. “Non comprendiamo perché in questo caso non ci siano le consuete garanzie contro la pena di morte,” ha affermato. La conseguenza, ha sostenuto Summers, è che – considerando il contrasto del Regno Unito alla pena di morte – l’annullamento dell’estradizione “deve avvenire di conseguenza” se gli USA si rifiutano di fornire tali garanzie.

Joel Smith KC (in rappresentanza al governo degli USA), ha detto ai giudici che “imporre le politiche di condanna del Regno Unito” agli Stati Uniti non è tra le funzioni delle corti di giustizia britanniche. Smith ha anche affermato che Assange ha incoraggiato le sue fonti [ndt: i whistleblower] per aggirare le tutele legali riguardo all’informazione e per costruire per WikiLeaks una trama di informazioni classificate “procurate e fornite illegalmente”, mirata alla distribuzione al pubblico.

Rispondendo alle tesi degli USA e del SSHD, Edward Fitzgerald KC ha rifiutato l’idea che l’eccezione all’estradizione per reato politico, protetta nel UK-US Extradition Treaty ma non conferita nel più recente Extradiction Act locale, fosse ormai superata, o che il Parlamento avesse deciso attivamente di farne a meno.

“Questa nazione continua a firmare trattati che prevedono quel paletto,” il che costituisce anche parte di un modello di accordi di estradizione prodotti dalle Nazioni Unite e dall’Interpol. Gli USA “cercano l’estradizione sulla base del UK-US Extradition Treaty,” che ha costituito le fondamenta per la detenzione di Julian Assange, perciò nessuno “può evitare tale accordo”.

Mark Summers KC (in rappresentanza di Julian Assange) ha detto alla corte che, semplicemente, i convenuti non hanno risposto alle tesi poste alla loro attenzione. È stato “degno di nota” che i convenuti abbiano espresso la loro opinione per due ore riguardo ai limiti del giornalismo responsabile, senza menzionare che le rivelazioni del caso in essere erano crimini di stato della massima entità.

Si è detto non sorpreso che Clair Dobbin non avesse dato una risposta convincente su ciò che dovrebbe accadere in un caso in cui le informazioni segrete sono state richieste e pubblicate, e in cui c’è stata un’opera di revisione/censura. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella giurisprudenza dell’art.10 di Strasburgo, richiedeva che avesse luogo un bilanciamento degli interessi persino in caso di informazioni classificate o segrete. Il precedente orientamento giurisprudenziale su cui si è basato il governo degli Stati Uniti è così antico da essere precedente al UK Human Rights Act [ndt: Legge sui Diritti Umani del Regno Unito del 1998] e il modo di trattare i diritti legati alla libertà di espressione ha fatto passi avanti da allora.

“Se pensate che Strasburgo prenderebbe in considerazione la tesi dell’art. 10,” ha detto alla corte, “allora la si deve poter sostenere anche in questa sede.”

Intorno alle 16.30, Dame Victoria Sharp ha detto alla corte che la decisione sulla concessione del ricorso in appello verrà riservata a una data futura successiva al 4 marzo 2024.

Tocca qui per l’articolo originale in lingua inglese.